mercoledì 21 novembre 2012

O brother...

Si può traslare l’Odissea attraverso le peripezie di un bislacco terzetto di fuggitivi (con tanto di divise da evasi a strisce orizzontali, come nelle comiche di Sennett, interpretati da George Clooney, John Turturro e Tim Blake Nelson) nel Mississippi degli anni Trenta? Be', se vi chiamate Joel ed Ethan Coen è sicuramente cosa fattibile. O Brother, Where Art Thou? (Fratello, dove sei?) è un verso di Shakespeare anche se i registi dichiaravano fintamente di non esserne a conoscenza nel 2000, l'anno in cui la pellicola uscì. Il film è una sorta di divertissement brillante e caotico, un viaggio vagabondo - magnificamente interpretato - nell'America della Grande Depressione (ma con evidenti allusioni all'oggi) attraverso l'iconografia musicale e cinematografica che l'ha rappresentata. Dichiarando sin dall'inizio la matrice omeriana, i due autori si sono divertiti a disseminare il film di ammiccamenti: c’è un vecchio nero, cieco, poeta e profeta come Omero; ci sono sull'acqua d'un fiume ragazze infide dal canto ammaliante come quello delle Sirene; c’è un malvagio con un occhio solo come il Ciclope (vabe', è John Goodman); e il protagonista Clooney si chiama Ulisse mentre sua moglie Holly Hunter si chiama Penny, Penelope. Ma ci sono soprattutto gli Stati Uniti con la magia del loro cinema. Clooney coi baffetti da sparviero, ossessionato dalla brillantina per capelli, è un avventuriero sullo stampo di Clark Gable o Douglas Fairbanks. Il paesaggio del Sud ha colori ocrati e malinconici di una vecchia foto; il gangster megalomane rapinatore di banche evoca Bonnie e Clyde; tutto rimanda a qualcosa di noto ed è tuttavia assolutamente originale. E a saper guardare in profondità c'è pure un piccolo assaggio di futuro: come non riconoscere negli scenari derelitti che fanno da sfondo alla vicenda, nelle macerie umane scandagliate con spirito faulkneriano, un preambolo, un avviso di quel mondo che più tardi i Coen riproporranno in chiave aggiornata (e più cruenta) attingendo dal Cormac McCarthy di Non è un paese per vecchi? Nota di merito particolarissima per la colonna sonora, componente fondamentale dell'opera tanto da renderla quasi un musical: si passa dal bluegrass dei bianchi del Sud al blues dei neri, al gospel, alle “work songs” e alle “chain gang songs”. Strepitoso.

6 commenti:

Claudio ha detto...

"Ci sono gli autori che fanno scuola come De Cataldo, Genisi, Carofiglio, Carrisi o Di Monopoli"
(Ignazio Minerva su Repubblica)

Complimenti, anche se non ho scoperto nulla di nuovo.


Mi tolga una curiosità, ma ogni anno che è ospite dello Sugarpulp in Veneto, non le viene l'idea che si possa creare qualcosa di simile nella nostra amata Puglia?


Chiedo scusa ai fratelli Coen se sono andato fuori argomento.

sartoris ha detto...

@Claudio: a parte i i ringraziamenti, ti confermo che ci penso sempre, ma le zone in cui vivo io (la parte tarantina del Salento) sono purtroppo assai depresse sotto questo punto di vista, e non si trovano i fondi né le spalle giuste per fare quel genere di cose quaggiù (per spalle intendo persone in grado di auto-supportarsi come fanno gli amici di SugarPulp) però chissà che prima o poi non ci si svegli (il sottoscritto incluso:-)

PS in realtà anni fa io e altri amici appassionati di genere (all'epoca non avevo ancora pubblicato con un editore nazionale) costruimmo una rassegna che lontamente somigliava a SugraPulp, i risultati furono disastrosi in termini di pubblico e ci rimettemmo molto denaro...

Claudio ha detto...

In un articolo di qualche tempo fa, l'autore (di cui non ricordo il nome) per spiegare il successo degli ultimi anni dei narrratori pugliesi, giustificò il tutto come "la predisposizione secolare dei pugliesi di stare a guardare", evolutasi negli scrittori in una originale capacità di narrazione.
Io non credo che sia un complimento. Anzi.

Visto che ci sono, posso chiederle perchè "Ferro e fuoco" è così difficile da reperire? Sono ormai 20 giorni che ho dovuto ordinarlo in libreria. Per ora la ringrazio per "Uomini e cane" e "La legge di Fonzi". Come alla fine di ogni buon libro, soffro della sindrome del Giovane Holden. Ho seriamente pensato di fare un salto dalle sue parti per ringraziarla.

sartoris ha detto...

@Claudio: dammi pure del tu, ti prego. FERRO E FUOCO è difficile da reperire perché è un SECONDO romanzo e come tutti i secondi romanzi in Italia parte un po' svantaggiato (gli editori ne stampano meno copie, i distributori ne circuitano ancor meno: tutto perché si da per scontato che non avrà la medesima forza del primo e l'autore sta facendosi le ossa per il terzo; mah!)(a me FERRO E FUOCO sembra il mio più riuscito romanzo, pensa un po')

sullo "stare a guardare" mi trovi forse un po' d'accordo, anche se, hai ragione, è decisamente un insulto! (discorso lungo, magari lo faremo prima o poi "de visu")

LUIGI BICCO ha detto...

Completamente d'accordo. Il film è uno dei più ispirati dei grandi fratelli Coen e la colonna sonora (in mio possesso) non è da meno. E' presente gente del calibro di John Hartford, Norman Blake, James Carter and the Prisoners e parecchia altra robina interessante.

Interessante anche il vostro discorso dello stare a guardare :)

Ci ho messo la faccina sorridente, ma il realtà c'è ben poco da ridere.

sartoris ha detto...

@Luigi io ho una mia teoria sulla "diffidenza" dei meridionali, qualcosa di arcano e recondito che ci accompagna da secoli e che abbiamo cogli anni imparato a travestire da accoglienza (un po' fasulla): me la sento spesso - mio malgrado - addosso, ed è un sentimento che ti spinge a guardare, scrutare e controllare tutto... sicuramente un atteggiamento di chiusura che nel mio caso cerco di sublimare con l'atto creativo (ribadisco, discorso assai complesso e articolato;-)