Edito da Einaudi un bel po' di anni or sono, Black Flag è forse la più incisiva delle (sinora tre) avventure di quel riuscitissimo personaggio rispondente al nome di Pantera, palero (cioè stregone) e pistolero già comparso in una delle storie di Metallo Urlante e poi più tardi in Antracite, romanzi nei quali il suo inventore, lo scrittore bolognese Valerio Evangelisti, continua a far ricorso a quell'efficace amalgama di precisa ricostruzione storica e distorsioni del presente, tra passato e futuri possibili - ma sempre inquietanti - già ampiamente sperimentato nei suoi romanzi precedenti (quelli che hanno l’inquisitore Nicholas Eyemerich come protagonista, e che invece personalmente trovo spesso un po' tediosi).
Evangelisti, perseguendo teorie che la fantascienza classica ci ha insegnato ormai da tempo a digerire, parte dall'assunto che gli eventi storici sono in qualche misura tutti simultanei. In questo libro, il riferimento alla Guerra di Secessione americana (con tanto di citazioni sergioleonesche quando non smaccatamente mccarthyane) è un modo per evocare le odierne strategie di guerra e per comprovare una volta di più quanto la razza degli uomini sia speculare a quella dei lupi. Lupi che - in questo caso - assumono sembianze umane (con l’ammiccamento al Freud del «caso dell’uomo dei lupi», attraverso la ricorrente visione dell’albero sui cui rami stanno appollaiati sette lupi bianchi) e che imprimono un tono di inaudita ferocia alla guerra combattuta senza scampo soprattutto nei riguardi degli inermi, la cui vita ha (oggi più che mai) smesso di possedere valore soggettivo mutuandosi in un'espressione vagamente burocratica: i morti sono diventati infatti «danni collaterali». Appena scartato dal cellophane, Black flag scorre come acqua fresca tra sparatorie, ululati lupigni e citazioni dell’omonima band di Henry Rollins. Attraverso questo cupo affresco, Evangelisti sedimenta il suo radicale sguardo sulle cose terrene, arrivando forse a suggerire che non vi è più alcun futuro (il «no future» urlato dai punk) per l’umanità, se non schegge impazzite di violenza. (figura: tavola di Paolo Bacilieri)
Evangelisti, perseguendo teorie che la fantascienza classica ci ha insegnato ormai da tempo a digerire, parte dall'assunto che gli eventi storici sono in qualche misura tutti simultanei. In questo libro, il riferimento alla Guerra di Secessione americana (con tanto di citazioni sergioleonesche quando non smaccatamente mccarthyane) è un modo per evocare le odierne strategie di guerra e per comprovare una volta di più quanto la razza degli uomini sia speculare a quella dei lupi. Lupi che - in questo caso - assumono sembianze umane (con l’ammiccamento al Freud del «caso dell’uomo dei lupi», attraverso la ricorrente visione dell’albero sui cui rami stanno appollaiati sette lupi bianchi) e che imprimono un tono di inaudita ferocia alla guerra combattuta senza scampo soprattutto nei riguardi degli inermi, la cui vita ha (oggi più che mai) smesso di possedere valore soggettivo mutuandosi in un'espressione vagamente burocratica: i morti sono diventati infatti «danni collaterali». Appena scartato dal cellophane, Black flag scorre come acqua fresca tra sparatorie, ululati lupigni e citazioni dell’omonima band di Henry Rollins. Attraverso questo cupo affresco, Evangelisti sedimenta il suo radicale sguardo sulle cose terrene, arrivando forse a suggerire che non vi è più alcun futuro (il «no future» urlato dai punk) per l’umanità, se non schegge impazzite di violenza. (figura: tavola di Paolo Bacilieri)
Black Flag
Valerio Evangelisti (Ed. Einaudi)
Valerio Evangelisti (Ed. Einaudi)
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