giovedì 13 novembre 2014

dal sud senza pietà...

«Manfredonia, come tante altre città di questo sud, non ha solo il chiarore delle centinaia di luci che avviluppano il suo golfo, quando i bagliori rossastri del tramonto spengono le distese marine, tutte intorno. No. Manfredonia ha anche il verde nitrico del muschio, le mani e i piedi nella mota. Nelle sue stanze c'è chi "odorava di canfora e piscio. E di denti cariati". Le coste qui non sono solo approdi di eroi mitologici, ma grotte fetide oltre le cui barriere rocciose buttare il corpo del proprio fratello assassinato per pagare il debito col mare.
Racconti maledetti di un altrettanto meridione brutto e brutale, uno appresso all'altro, sgranando un rosario di vergogne, come quando si implora pietà e invece si ricevono castighi: sono queste le storie che scorrono nell'ultima pubblicazione di Omar Di Monopoli, Aspettati l'inferno. L'autore ci aveva abituato al suo genere realistico e pulp coi precedenti romanzi Ferro e fuoco, Uomini e cani e La legge di Fonzi, ma questo lavoro è una raccolta di storie paradossali, progressioni di sciagure, sempre spietate e disinvolte nella malvagità sfacciata. Con contaminazioni di horror, fantascienza e avventura.
Che siano Don Gino 'Nganna-muerti, Pietra dal volto roccioso, il Pellicano o Sputazza, figlio di quello della pescheria, i personaggi richiamati dalle viscere dell'oscura oltretomba narrativa di Di Monopoli si esprimono con un code mixing che rispecchia le abitudini lessicali di chi dimora in questi posti rabbiosi: una lingua avvelenata di dialettismi. Il perpetuarsi della iattura, infatti, genera tanto di quel disappunto che i personaggi usano il linguaggio che meglio padroneggiano cercando di farsi comprendere pure dai sordi alla realtà.
L'immaginario del Salento straordinario, la finzione dei suoi numerosi virtuosismi, i decori degli angeli paffuti e le gonfie mammelle d'abbondante e mistico barocco lasciano il posto alla perversione, alla malavita, alla rassegnazione che ha fisso in croce le coscienze infernali dei suoi abitanti, come dei calvari di questa periferia disonorata».
(Rosetta Serra per QuiSalento)

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